MEDIATECA

VISTO DAI GIOVANI VISIONARI: BARBIE

dal 3 agosto 2023 al 22 agosto 2023

I Giovani Visionari questa estate sono in viaggio, sotto esami o spiaggiati, ma alcuni di loro sono anche al cinema!

FRANCESCO SIONI ha visto Barbie e questo è il suo racconto.

(se volete unirvi al gruppo di giovani appassionati di cinema che si riunisce per discutere, organizzare, condividere visioni e imparare cose nuove contattateci scrivendo a mediateca@visionario.info)

Atto 0: Prima dei titoli di testa. Commentare il film di Barbie restando esclusivamente aderenti alla pellicola rischia di essere molto riduttivo. È necessario, a tal proposito, partire dal parcheggio fuori dal Visionario dove lascio la macchina. Smonto, e prima ancora di entrare al cinema già attorno a me vedo persone di qualsiasi range di età, dai 5 agli 80 anni, avviarsi verso l’entrata con almeno un indumento rosa. Entro in sala ed è praticamente piena. Da quando non vedevo una sala così piena in estate? Da ciò si deduce che prima ancora di parlare del film in sé, Barbie almeno dal punto di vista commerciale è già un successo totale. Il merchandise, i trailer, il passaparola, il fenomeno del Barbieheimer negli USA hanno funzionato nel trascinare in mezzo all’estate le persone al cinema indipendentemente dalla loro età: questo è un fatto.
Atto 1: Barbieland. Silenzio totale in sala. Il film comincia esattamente con ciò che ci si poteva attendere ma addirittura meglio. La palette di colori, le scenografie, i costumi, il trucco, i dialoghi, le coreografie, la musica immergono istantaneamente lo spettatore nel mondo di Barbie. Emerge subito l’attenzione maniacale alle ambientazioni della parte artistica della troupe e la volontà ferrea di trasportare su schermo esattamente il tipo di atmosfera che qualsiasi bambina ha in testa mentre gioca con le Barbie. È tutto perfetto e idilliaco, tutto è stereotipato, l’estetica è spinta al limite, il cast è sostanzialmente un fantacast.
Atto 2: Il mondo reale. Dopo circa 40 minuti, i ragazzi sotto i 15 anni iniziano a parlare a voce alta, alcuni schermi di cellulari si accendono nel buio, molti dei quali non si spegneranno fino a fine film. L’aspettativa degli spettatori inizia a cozzare con quello che stanno vedendo, quello che il marketing gli aveva promesso. Tutti iniziano a capire che Barbie, di fatto, ha molto di più in comune con un film d’autore piuttosto che con un blockbuster. È la migliore versione di ciò che si poteva fare a partire da un soggetto originale frivolo e superficiale.
Atto 3: Barbieland vs. il mondo reale. Nel terzo atto si vede finalmente il lavoro combinato di Greta Gerwig con Noah Baumbach alla sceneggiatura. La Gerwig ha già firmato due pellicole (Lady Bird e Piccole donne) che hanno chiaramente un attenzione al mondo femminile, Baumbach da sempre si interessa a drammi familiari e interazioni umane. La combinazione dei due sboccia in un film che lavora sugli stereotipi sessuali senza mai cadere nel banale, senza mai affrontare la questione in modo approssimativo ma sempre con una scrittura fresca, brillante e rapida. Le idee femministe non sono originali ma trovano nuova linfa nella loro rielaborazione all’interno del film venendo ribaltate schiettamente, per poi essere riprese, rielaborate, abbandonate e infine riprese di nuovo. Si vuole mostrare la complessità della figura femminile nella società moderna e le contraddizioni che la contraddistinguono, contraddizioni nate e spinte da un sistema a cui non c’è modo di scappare se non attraverso la completa accettazione di sé stessi indipendentemente dall’opinione dell’altro. La perfezione è artificiale e infatti appartiene al mondo di Barbie, la natura invece vive di imperfezioni che non solo il film ci spinge ad accettare, ma addirittura a ricercare. Il film esamina non solo il mondo femminile, ma anche il suo rapporto con quello maschile. Il Ken di Ryan Gosling è decisamente il personaggio più interessante del film che supera i cliché del materiale originale per mostrare una figura fragile, persa nella sua inconsapevolezza di se stesso e del mondo, che soffre per amore e che trova nella virilità e nel predominio maschile un mezzo palliativo al suo cuore spezzato.
Atto 4: Titoli di coda. Cosa dire quindi di Barbie? Barbie è un buon film, ma prima ancora di ciò, Barbie è un ottimo prodotto commerciale partorito dall’industria cinematografica. Barbie vince nel portare al cinema lo spettatore occasionale che si aspetta un film rosa e infantile, e si ritrova davanti uno spaccato sociale anche se fortemente edulcorato. Barbie invece perde nel portare al cinema bambini sotto i 10 anni che non sono in grado di apprezzare il sistema emozionale abilmente pensato dagli autori. Greta Gerwig attinge a piene mani da un immaginario collettivo costruito a partire da 2001: Odissea nello Spazio, Donne sull’orlo di una crisi di nervi, Playtime e Grease per costruire un mash-up di generi che ha un’anima pop e un’anima di genere. Sebbene il film si perda su un finale accondiscendente e su un’esposizione molte volte troppo esplicita e didascalica, Barbie non è un film sciocco come la sua stereotipata protagonista, ma è ragionato e pensato coerentemente a una ferrea logica di marketing ma anche a un solido pensiero alla base. Barbie non vuole essere un film di denuncia sociale, non vuole proporre un nuovo sguardo sul problema del sessismo nella società, il suo merito è solo quello di far emergere in modo chiaro gli stereotipi sessisti (anche a costo di rischiare di essere ridondante) ed esporli brillantemente in un blockbuster internazionale accessibile a centinaia di milioni di persone.

F.S.